Unicredit non è più la banca dei derivati?

Ricordate poco tempo fa il caso Divania, il suo fallimento, e l’inchiesta svolta dall’Espresso in cui veniva accusata Unicredit di aver spinto “forzatamente” gli imprenditori ad acquistare derivati? E ricordate poco tempo prima nei mesi di settembre ed ottobre, i ribassi di Unicredit dovuti all’esposizione in derivati e la crisi finanziaria dei mutui subprime e le richieste di risarcimenti danni?

Unicredit occupa nel mercato italiano una posizione di rilievo nella distribuzione di prodotti derivati con una quota di mercato che pari alla metà del totale. Questo però negli ultimi tempi le ha causato non poche grane, soprattutto a livello di immagine.

Alessandro Profumo ha finora cercato di liberare la sua banca dall’etichetta di “banca dei derivati” ed è quello che ha fatto anche di fronte al cda riunitosi ad Istanbul in questi giorni. Nei primi 9 mesi del 2007, secondo le elaborazioni di Bankitalia, la perdita potenziale dei derivati è passata da 3,5 a 5,2 miliardi.


La quota delle perdite potenziali per i clienti Unicredit è passata in breve tempo da 50% a 25%. La perdita potenziale è scesa dagli 1,2 miliardi el settembre 2007 (ed 1,8 nel dicembre 2006) a 1,1 a fine 2007. L’obiettivo di Profumo è quindi quello di dimostrare l’impegno di Unicredit nel diminuire per quanto possibile la propria esposizione, liberandosi delle accuse di aver riempito le tasche delle Pmi di prodotti derivati poi crollati.

Intanto il 2007 si chiude con un utile netto di 6,5 miliardi di euro, senza grosse differenze rispetto all’anno precedente, e l’esposizione ai subprime statunitensi è scesa a 164 milioni (-82 milioni). L’utile è leggermente inferiorie alle attese, ma il 2007 è stato un anno complicato per tutti gli istituti finanziari.

Le previsioni per il 2008 non sono delle più ottimiste, soprattutto per quanto riguarda l’investment banking, ma la presenza di Unicredit in alcuni paesi “emergenti”, soprattutto nell’est Europa, dovrebbero favorirla rispetto ad altre banche.

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