La Svezia insegna a gestire il debito pubblico

 Anche la Svezia, come altri paesi del Vecchio Continente, dovrà fronteggiare un 2012 a dir poco difficile: però, a differenza del resto dell’Ue, la nazione scandinava ha da tempo trovato la soluzione giusta ai propri problemi, una lezione che deve essere appresa con prontezza anche da altri Stati. Il rallentamento della crescita di Stoccolma dovrebbe essere inferiore al punto percentuale nel corso di questo nuovo anno, ben al di sotto del -4.5% registrato nel 2011, un risultato che potrà essere raggiunto soprattutto grazie alle massicce esportazioni.

Poco prima di Natale, inoltre, la Riksbank ha provveduto a tagliare il costo del denaro per la prima volta dal 2009 all’1,75%. Ora i tagli potrebbero aumentare, una risposta più che urgente alla debole economia e alla crescente inflazione. Il valore dell’indipendenza monetaria è senza dubbio la prima e la più importante lezione che si può trarre dalla Svezia: in effetti, come è noto, il paese è rimasto fuori dal sistema dell’euro quando la valuta venne introdotta nel 1999, anche perché negli anni precedenti aveva spesso utilizzato la flessibilità della divisa proprio per assestare la propria economia interna. In questa maniera, la banca centrale svedese può permettersi di essere leggermente meno cauta rispetto alla Bce, tanto che il suo tasso di interesse aggiustato all’inflazione è calato dal 2,25 all’1,5%. Inoltre, dettaglio non certo secondario, la politica fiscale ha rivestito un ruolo non decisivo per quel che concerne l’economia nel suo complesso: si tratta di una eredità degli anni Novanta, quando fu necessario stabilizzare le finanze pubbliche.

La seconda lezione svedese è presto detta. In pratica, lo stimolo fiscale non è una condizione necessaria per la ripresa economica. Sebbene ci sia una recessione davvero spaventosa, il budget nazionale ha addirittura fatto registrare un surplus; il governo di Stoccolma vanta un debito che è inferiore al 40% del prodotto interno lordo, tra i più bassi in assoluto se si considerano gli stati “ricchi”.

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