Protesta dei suinicultori: non si consegnano le certificazioni dop. A rischio prosciutti come il Parma e il San Daniele

In un’Italia scossa dalle proteste scendono in campo anche i suinicultori e i produttori di prosciutto. Dal primo giugno, infatti, è scattata ufficialmente la sospensione dei certificati di qualità che accompagnano i suini alla macellazione per produrre salumi. Una decisione drastica che pesa sui guadagni degli allevatori poiché, così facendo, si ritrovano a vendere senza incassare il sovrapprezzo dato dalle certificazioni.

Al centro delle proteste degli allevatori il calo del prezzo dei suini, l’aumento dei costi per l’alimentazione degli animali con un rialzo del 40 per cento del prezzo di cereali e oleaginose, i rincari anche nelle spese energetiche e la necessità di investimenti nelle strutture e nei macchinari all’interno delle aziende per ottemperare agli obblighi imposti dall’Unione Europea.


Partecipano al cosiddetto “sciopero del prosciutto” allevatori che contribuiscono per il 70 per cento alla produzione nazionale di maiali. Denunciato il basso compenso pagato agli allevatori. Per i suini destinati a diventare prodotti dop come il prosciutto di Parma o il San Daniele, gli allevatori ricevono 1,03 euro al chilo con costi minimi di produzione pari a 1,50 euro. Tutto questo mette a rischio un importante comparto del Made in Italy agroalimentare, perché i suinocultori, alle condizioni attuali, perdono circa 50 euro per ogni capo.
Con queste premesse – ha spiegato Cristini vicepresidente di Coldiretti Brescia – diventa difficile pensare di produrre suini dop. E tutto ciò mentre i consumatori spendono oltre 25 euro/kg per acquistare il prosciutto crudo.
Gli allevatori chiedono, poi, maggiore valorizzazione e salvaguardia della carne Made in Italy. Servono provvedimenti per migliorare il sistema di controllo e monitoraggio della produzione per una maggiore certezza sulla provenienza della carne. Bisogna evitare che vengano spacciati per italiani prodotti che provengono da altri paesi e che sviliscono l’immagine del Made in Italy e saturano il mercato.

Se la situazione non dovesse migliorare, gli allevatori minacciano l’inasprirsi della protesta con blocchi delle autostrade e picchetti davanti ai macelli.

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