Occupy Germany: le proteste di Berlino e Francoforte

 Il fenomeno delle proteste “Occupy” si estende sempre più a macchia d’olio e sta coinvolgendo ora un paese in cui sono presenti diversi simboli economici contro cui scagliarsi: si tratta della Germania, la cosiddetta “locomotiva d’Europa”, in cui gli indignati stanno dando vita alle loro dimostrazioni da almeno tre settimane consecutive, anche se non con la stessa intensità che si nota altrove. Le città principali in tal senso sono la capitale Berlino e, ovviamente, Francoforte, in cui ha sede la Borsa tedesca, ma soprattutto la Banca Centrale Europea, due dei bersagli più gettonati. Le richieste sono esplicite e chiare: Occupy Germany vuole infatti puntare su una finanza più trasparente e sull’aumento degli stipendi, sempre all’insegna del consueto slogan adottato dai “colleghi” americani, vale a dire “Siamo il 99%”.

In particolare, poi, gli indignati teutonici sono fortemente contrari alla disparità di ricchezza, l’ingiustizia di una distribuzione poco equa del denaro; secondo uno dei partecipanti, Dieter Rucht, sociologo presso il Social Science Research Centre di Berlino, non si tratta soltanto di una semplice impressione, bensì di una realtà provata dal punto di vista statistico, un fenomeno confermato addirittura dall’Ocse. La convinzione è che le differenze di reddito tra i vari cittadini sia il risultato del fallimento delle regole finanziarie, finora prive di trasparenza e appropriatezza: maggiori responsabili sono quindi le banche e le altre istituzioni finanziarie che sono solite generare dei profitti all’interno del mercato. Inoltre, viene ritenuto ingiusto e poco democratico che la gente comune non venga tenuta in considerazione per quel che concerne la partecipazione alle principali decisioni.

Tra questa folla, infine, si parla anche molto di capitalismo. In effetti, secondo alcuni quest’ultimo e il comunismo presentano soltanto due differenze: nel capitalismo le banche vengono nazionalizzate dopo una bancarotta, mentre nel comunismo esse sono nazionalizzate sin dall’inizio per poi fallire miseramente, un motivo per nutrire scarsa fiducia nei confronti dell’attuale sistema economico.

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