Sui dazi Europa-Stati Uniti c’è un accordo. Ma davvero ci conviene? E la vera domanda è: ci guadagniamo davvero qualcosa? Dobbiamo fermarci un attimo e rifletterci sopra.
Accordo sui dazi non soddisfacente
Perché, a una prima occhiata, c’è qualcosa che non torna. L’Unione Europea si ritrova a pagare dazi quasi triplicati rispetto al passato. E non perché le sia stato imposto, ma perché lo ha scelto, cercando di evitare lo scontro con gli Stati Uniti. Ma perché? Prima di Donald Trump, i dazi erano attorno al 4,8%. Oggi, grazie a un accordo stretto tra Ursula von der Leyen e il presidente statunitense, siamo saliti al 15%.
Valeva davvero la pena pagare un prezzo così alto per tenere in piedi i rapporti con Washington? È questa la domanda che dovremmo farci, con onestà. Anche perché, per molte imprese europee, quel 15% è tutt’altro che irrilevante. E i rischi che a farne le spese siano anche posti di lavoro reali sono presenti e ben visibili.
Il punto è che, a ben vedere, questa è stata più una scelta politica che economica. Perché, a voler essere sinceri, l’Europa non ha fatto nulla di sbagliato nei confronti degli Stati Uniti sul piano commerciale, almeno negli ultimi anni. Eppure i 27 Paesi dell’Unione hanno preferito “limitare i danni“. Hanno preferito un armistizio senza nemmeno combattere realmente.
Strategia valida? Non è chiaro al momento
Forse i frutti di questa strategia li vedremo tra qualche mese. Ma intanto c’è una questione urgente: capire che effetto avrà tutto questo sui prezzi, sull’inflazione e, più in generale, sull’economia europea. Perché sì, l’inflazione resta uno degli elementi potenti e pericolosi per quanto riguarda l’economia. E a livello globale.
Molti si stanno chiedendo perché Ursula von der Leyen abbia agito così. Forse per placare Germania e Francia, che già da tempo mostravano segni di crescente malcontento di fronte alla possibilità di vedersi applicare dazi del 30%.
Si è scelto il male minore? Probabilmente sì. Ma è anche vero che l’Europa avrebbe potuto (e forse dovuto) farsi valere con più decisione qualche mese fa, proprio come hanno fatto la Cina e il Canada. Un’azione più ferma avrebbe aiutato anche a chiarire una cosa importante: che il rallentamento economico degli Stati Uniti non è affatto colpa dell’Europa.
Ora non ci resta che osservare come evolverà la situazione, settore per settore. E capire se le aziende europee riusciranno a tenere botta e a recuperare competitività, sia negli Stati Uniti che sul mercato interno.
E poi c’è un altro dettaglio da non sottovalutare: l’accordo di ieri non ha risolto tutto. Restano ancora sul tavolo dossier pesanti come quelli sul digitale e sui semiconduttori.