Gli italiani non comprano più auto

 La crisi del settore auto in Italia avrà senza dubbio un forte impatto sulle scelte strategiche del gruppo Fiat. Il piano industriale 2010-2014, chiamato “Fabbrica Italia” e lanciato due anni fa dall’amministratore delegato Sergio Marchionne, non sta andando nella direzione sperata. Il programma prevedeva l’aumento dei volumi di produzione negli stabilimenti in Italia fino al 2014, portando il numero delle vetture prodotte a 1,4 milioni dalle 650mila del 2009. La realtà è però completamente diversa. Nel 2011 Fiat ha prodotto solo 480mila vetture, quasi 200mila in meno rispetto a due anni prima.

La crisi profonda dell’auto potrebbe far scendere il livello produttivo in Italia fino a 450mila vetture entro fine anno. Se le cose non dovessero cambiare, basterebbe soltanto un solo stabilimento a soddisfare la richiesta del mercato italiano. A Melfi, ad esempio, le previsioni sono per una produzione superiore a 400mila vetture, per cui oggi solo con Melfi si potrebbero produrre tutte le auto del Lingotto. Si tratta solo di un calcolo teorico, anche perché Melfi non sarebbe in grado di produrre fino a saturare la produzione italiana.

Alla luce di questo scenario Fiat potrebbe decidere di chiudere due o addirittura tre stabilimenti, anche se difficilmente la politica accetterà un nuovo drastico taglio di stabilimenti e posti di lavoro dopo il “sacrificio” di Termini Imerese chiuso nel 2011. Oggi il principale stabilimento produttivo di Fiat in Italia è quello di Melfi, attivo dal 1993 e dove si realizza la Punto. L’impianto produttivo più antico è invece quello di Mirafiori, che oggi produce solo la Mito ma da fine 2013 dovrebbe produrre un suv con marchio Jeep.

Il crollo del mercato dell’auto in Europa sta mettendo in ginocchio i grandi gruppi dell’Europa periferica, mentre tengono testa alla crisi i colossi tedeschi. L’eventuale chiusura di stabilimenti in Italia avrebbe conseguenza sull’intera filiera dell’auto e rischierebbe di mettere in bilico un’industria che vale ancora l’11% del pil italiano.

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