Manager italiani sempre più sfiduciati

 I manager italiani? Sono sempre più sfiduciati. Meglio di loro, ma non tanto, fanno i collleghi stranieri, sebbene – globalmente – solamente il 36 per cento dei “ceo” (chief executive officer, una sorta di nostri amministratori delegati) si dica pienamente fiducioso sulla crescita della propria società nel corso dei prossimi 12 mesi. Ad affermarlo è la 16a Global Ceo Survey realizzata da PwC e diffusa nel recente incontro annuale del World Economic Forum di Davos.

Stando a quanto riportato da Vittorio Da Rold sul quotidiano Il Sole 24 Ore in proposito a tali considerazioni, il dato del 2013 è nettamente più basso rispetto al 40 per cento del 2012 e al 48 per cento del 2011. Tra le cause maggiormente indicate tra le preoccupazioni figurano il deficit di bilancio, la regolamentazione eccessiva e lo sviluppo economico carente (vedi anche Draghi invita ad andare avanti a tutti i costi).

“Quanto ai Ceo delle aziende italiane” – prosegue il giornalista sul quotidiano – “vedono un 2013 sostanzialmente allineato all’anno precedente e la fiducia sulle prospettive di crescita dei ricavi a 12 mesi (59%) e a 36 mesi (84%) è ai minimi rispetto agli ultimi 4 anni. La stabilità dei mercati finanziari viene considerata un requisito essenziale per nuovi investimenti di sviluppo dal 74% dei Ceo, in tale ambito i Ceo italiani giudicano efficaci le azioni intraprese dal Governo Monti negli ultimi mesi ma trovano insoddisfacenti le politiche di supporto all’innovazione e alla riduzione della complessità normativa”.

Invece, per quanto attiene alle principali opportunità di sviluppo, si fa cenno all’innovazione mediante la creazione di nuovi prodotti e servizi (38 per cento) e allo sviluppo della presenza internazionale (21 per cento), anche mediante transazioni di natura straordinaria. Meno fiducia per quanto concerne le prospettive di crescita del mercato domestico (vedi anche Dichiarazioni Marchionne su futuro Fiat).

Infine, per quanto concerne le più gravi minacce dei prossimi trimestri, spicca l’incapacità di finanziare la crescita a causa delle difficili condizioni del credito (52 per cento), il costo dell’energia e delle materie prime (57 per cento) e la pressione fiscale (86 per cento).

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