Lavazza punta su India e Stati Uniti

 Il gruppo torinese Lavazza, storica azienda italiana attiva nella lavorazione del caffè e fondata nel 1895, vuole voltare pagina dopo il difficile anno 2011 che è stato definito dal vicepresidente Giuseppe Lavazza come “l’anno più difficile della nostra storia” a seguito della perdita consolidata di 9 milioni di euro (nel 2010 l’utile del gruppo si era attestato a 21 milioni di euro). Giuseppe Lavazza ritiene che il 2011 è stato caratterizzato da “una combinazione di fattori negativi, dall’aumento della materia prima, al calo dei consumi, alla svalutazione di alcune partecipazioni”.

L’azienda ora guarda al futuro e già per l’anno in corso si aspetta un netto miglioramento della redditività. Giuseppe Lavazza è convinto che il 2012 sarà completamente diverso rispetto allo scorso anno. Secondo il vicepresidente dell’azienda torinese è possibile un ritorno ai profitti ottenuti due anni fa, dopo un primo semestre positivo sotto il profilo della redditività. Il motivo principale risiede nel processo di ristrutturazione avviato già nel secondo semestre dello scorso anno e ora ormai in via di definizione.

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L’esercizio 2011 aveva visto salire il giro d’affari a 1,26 miliardi di euro, ma quest’anno dovrebbe aumentare ancora grazie alle vendite dei primi mesi dell’anno. Il top management dell’azienda ha cambiato completamente volto, dopo che a metà dello scorso anno Andrea Baravalle aveva assunto la carica di amministratore delegato. Il gruppo Lavazza ora guarda con maggiore decisione ai mercati esteri, in particolare a India e Stati Uniti.

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Negli USA il gruppo italiano ha una quota nel produttore Green Mountain, che sta facendo molto bene con vendite in crescita del 40%, e ha grandi aspettative per il lancio della prima macchina a cialde sviluppata con il partner americano. Entro fine 2012 inizierà anche l’attività del nuovo stabilimento in India, che produrrà anche per l’export. Lavazza punta forte sui mercati stranieri, in quanto c’è da compesare il forte calo dei consumi in Italia che comunque rappresenta ancora il 60% del fatturato.

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