Mercati: recessione inevitabile in America?

 A turno gli esperti portano avanti il teatrino delle dichiarazioni senza freni e senza riserve. Il momento dopotutto è il migliore per tentare il colpaccio mettendosi in mostra con previsioni di una certezza sconcertante. La recessione sembra adesso inevitabile secondo Roubini, mentre Buffet incita i suoi fan a continuare a comprare per il medio-lungo periodo.

In un’epoca di grandi cambiamenti mossa dai rumors poche sono le certezze in ambito finanziario (non che ce n’è fossero mai state, a dire il vero) e la fiducia scende a livelli imbarazzanti, grazie anche alla completa assenza di sostegno da parte delle figure più importanti che continuano a parlare senza effettivamente proporre una via di uscita concreta. Ancora non siamo usciti dalla recessione del 2008 e già ci infiliamo in una nuova portandoci dietro gli stessi problemi e le stesse preoccupazioni del mondo finanziario diventato sempre più “intangibile” e distante dalla vita reale, nonostante la sua influenza è ancora altissima.

Nei prossimi mesi si decideranno le sorti dei prossimi mesi sul Mercato finanziario e dei prossimi anni sull’economia reale, anche se i primi a non essersene accorti sono proprio quelle persone che hanno in mano il potere decisionale, sempre più contrastato tra l’interesse delle istituzioni e quello dei cittadini.

2 commenti su “Mercati: recessione inevitabile in America?”

  1. Vorrei approfittare di questo (e altri) blog per esporre alcune considerazioni ed un’idea su questa ennesima crisi economica.
    Mi sembra evidente che la successione di crisi economiche sofferte dai paesi occidentali negli ultimi anni siano da imputare ad una cattiva gestione della globalizzazione dei mercati.
    Se infatti consideriamo il mondo come un unica entità economica, con un mercato interno completamente aperto e libero, è inevitabile che la produzione si sposti dove i costi sono inferiori e, di conseguenza, si sposta anche la ricchezza e quindi il benessere.
    Questo sarebbe anche giusto e benefico se la produzione di beni e servizi fosse soggetta anch’essa a regole globalizzate, quindi medesimo trattamento dei lavoratori ecc…, ma così non può essere.
    Quindi i paesi che prima erano ricchi diventano poveri (indebitati) e smettono di comprare dai paesi produttori (per questo la Cina si è arrabbiata della situazione USA) e tagliano il benessere (previdenza, welfare, sanità, ecc..), poi tutto ricomincia con un andamento ondulatorio che porta la fortuna di pochi speculatori e le sofferenze di molti sfortunati.
    E’ vero che anche così alla lunga si tenderebbe ad un sistema stabile, infatti le oscillazioni sarebbero sempre più smorzate, ma è possibile che non ci sia un sistema per forzare questo lento e doloroso processo?
    Il più ovvio e altrettanto impraticabile è la globalizzazione delle condizioni (vi immaginate la Cina che mette a 38 ore settimanali i suoi operai???). Scartato.
    Il più facile è il protezionismo, ma questo, come già sancito dalla storia, inficerebbe tutti i vantaggi che la globalizzazione comunque può portare.
    Io ho pensato ad una soluzione, forse un po’ complessa, ma che potrebbe portare anche parecchi benefici accessori; cerco di spiegarla.
    I rappresentanti di tutti i paesi (o quasi), dovrebbero riunirsi intorno ad un tavolo ed introdurre dei “Titoli di Scambio Prodotti” TSP (per prodotti si intende sia merci che servizi). Ogni paese verrebbe dotato inizialmente di un TOT di titoli deciso in questo summit.
    Ogni transazione commerciale tra due paesi andrebbe accompagnata dallo scambio di un certo numero di TSP corrispondente al valore monetario della transazione.
    I TSP vengono gestiti unicamente dalla Borsa Mondiale dei TSP e possono essere solo scambiati con altri con altri TSP ai valori di mercato basati su domanda ed offerta.
    Facciamo un esempio a numeri tondi: un fabbricante di divani italiano compra in india le stoffe per i suoi divani, le paga 10.000€ più 10.000 TSP indiani, compra 10.000€ di legname in Svezia e paga 10.000 TSP svedesi, poi rivende i suoi divani finiti in USA per 50.000€ ricevedo 50000 TSP americani dall’acquirente.
    Dove ha preso i TSP indiani e svedesi? ovviamente alla Borsa TSP dove le avrebbe scambiati con quelli americani.
    Dove sarebbero i vantaggi di questo apparentemente complesso meccanismo?
    Se un paese esporta troppo rispetto all’import va incontro ad una penuria di suoi TSP sul mercato che di conseguenza aumenterebbero di valore riportando un freno all’export, ovviamente vero anche il contrario. Il Vertice dei paesi aderenti potrebbe stabilire in anticipo la crescita economica globale decidendo periodicamente quanti nuovi TSP emettere. I paesi con particolari esigenze economiche o colpiti da sventure quali terremoti o altri disastri potrebbero essere imparzialmente aiutati dall’emissione di nuovi TSP, eventualmente anche a scadenza.
    Insomma potrebbe essere un sistema per “bilanciare le bilance commerciali” dei vari paesi senza interferire direttamente sui prodotti e sui costi.
    Cosa ne pensate?
    Non ditemi che sono matto per favore….

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