L’Italia piegata dai derivati di Morgan Stanley

 Il 3 Gennaio scorso Morgan Stanley ha fatto sapere di aver tagliato la sua posizione “netta” verso l’Italia di 3.4 miliardi di dollari, ed anche se la notizia è passata in secondo piano, la rilevanza è estremamente alta. Sembra infatti che l’Italia negli anni ’90 si sia esposta pesantemente nel mercato dei derivati e le operazioni ancora in corso non abbiano dato i risultati sperati.

I derivati possono essere di tipi estremamente diversi e l’esposizione cambia radicalmente a seconda dei prodotti che si considerano. Le opzioni in acquisto ad esempio hanno un rischio esattamente opposto alle pericolose vendite, così che ancora diversa è l’esposizione per chi tratta in futures, sia che siano con sottostanti reali sia che siano di tipo finanziario (come il futures sul Bund).

La pratica di proteggere il debito pubblico con l’uso dei derivati è conosciuta, visto che con una gestione ottimale lo Stato in questione può proteggersi dalle variazioni sui mercati dei tassi ad esempio, con una spesa piuttosto contenuta. Sappiamo però la potenza di questi strumenti; la crisi dei sub-prime, dopotutto, si è diffusa grazie a prodotti derivati comprati e venduti in tutto il mondo, legati al rischio di insolvenza dei mutui americani. Se da un lato quindi le sottoscrizioni dei derivati hanno funzione di “assicurazione” (esattamente come pagare una premio assicurativo a fronte di un’eventualità più o meno remota), dall’altro i prodotti offerti agli Stati non sono sempre così semplici e rischiano, come nel caso specifico dell’Italia, di complicare una situazione già difficile.

DERIVATI: CONDANNA STORICA ALLE BANCHE

Il debito accumulato nel rinnovo delle sottoscrizioni sembra ammontare a 31 miliardi di dollari secondo Bloomberg e questo è sicuramente il motivo per cui l’Italia ha detto basta al rinnovo ed ha preferito l’estinzione, seppur anche questa ha un costo.

PRODOTTI DERIVATI

CASO DERIVATI-COMUNE: ORA SONO LE BANCHE A FARE CAUSA

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