Il fallimento e l’imprenditore occulto

Principio generale nel nostro ordinamento è quello della “spendita del nome” ossia l’individuazione del soggetto a cui è imputabile la disciplina dell’attività di impresa (statuto generale dell’imprenditore) si riconosce solo a colui che ha agito in proprio nome. Pertanto diventa imprenditore colui che esercita personalmente l’attività d’impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi; al contrario, non diventa imprenditore il soggetto che gestisce l’altrui impresa spendendo il nome dell’imprenditore per effetto del potere di rappresentanza conferitogli dall’interessato ovvero riconosciutogli dalla legge. Detto così sembra qualcosa quasi di incomprensibile per chi non abbia frequentato almeno un corso di diritto ed economia, ma in realtà questa è una situazione che si verifica spessissimo!

Accade che un soggetto pur avendo effettuato degli investimenti per costituire un ‘attività, non volendo intestare sul proprio nome una ditta individuale (perché potrebbe fallire e magari ha un bel capitale da “proteggere”, oppure è già stato dichiarato fallito e non può aprire un’altra attività, i motivi sono tanti quante sono le persone..) decide di intestare l’attività a un’altra persona, di solito nullatenente, proprio perché, se questa fallisce non ci sarà nessun bene su cui rivalersi.


Ora il problema che ci poniamo è: se fallisce l’imprenditore, ossia quello che ne ha speso il nome, ed ha dei debiti con noi fornitori, come potremmo far valere i nostri crediti su qualcuno che non ha nulla? A questo punto interviene la nostra legislazione: se in effetti dimostriamo che l’imprenditore era solo un prestanome e ci sono prove certe che il vero imprenditore (ossia quello occulto) era un’altra persona , allora potremo avvalerci anche dei suoi beni. Occorrono però prove certe e la discrezionalità del giudice può comunque analizzare e decidere differentemente caso per caso.

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