L’accordo con la Libia firmato da Berlusconi porta enormi vantaggi al gruppo Eni

 L’Italia salda il conto con il suo passato coloniale in Libia ed Eni si prepara a riceverne benefici sotto forma di accesso agevolato ai giacimenti di idrocarburi dell’ottavo Paese al mondo in termini di riserve (41,4 miliardi di barili) e il sedicesimo in termini di produzione (1,85 milioni di barili al giorno). La Libia riceverà dall’Italia le scuse ufficiali, la restituzione della Venere di Cirene e 5 miliardi di euro in compensazioni. In cambio il leader libico Muammar Gheddafi ha promesso che “le compagnie italiane del gas e del petrolio avranno la priorità in quanto l’Italia è diventato un Paese amico”. La visita del fine settimana a Bengasi del premier Silvio Berlusconi e gli accordi bilaterali firmati non avranno una ricaduta diretta sulle intese commerciali riguardanti gli idrocarburi: Eni ha rinegoziato in giugno i sei contratti di esplorazione ed estrazione con la compagnia nazionale di Tripoli, ottenendo un allungamento della concessione al 2042 per il petrolio ed al 2047 per il gas. Il management del Cane a sei zampe non aveva fornito indicazioni precise sui termini dei nuovi accordi, ma è molto probabile che abbia dovuto accettare un peggioramento delle condizioni: “Sta succedendo ovunque nel mondo, le major sono costrette ad accettare quello che le compagnie petrolifere nazionali chiedono”.

Inutile fare tante illazioni e recriminazioni rispetto a quello che a molti può essere sembrato una calata di brache da parte del nostro presidente del Consiglio nei confronti del forse un po’ troppo umorale ma sempre carismatico colonnello. La stretta di mano tra Berlusconi e Gheddafi è un evento importante perché la Libia, per Eni, è un Paese fondamentale: è il primo in termini di contributo alla sua produzione con 252 mila barili al giorno ed è uno di quelli sui cui la compagnia punterà di più nei prossimi anni in termini di investimenti. In quella che oggi si chiama Jamahiriya, il gruppo è presente dal 1959, dieci anni prima del colpo di Stato che ha portato al vertice l’attuale leader.

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