Il declassamento coinvolge anche sette banche italiane

 I declassamenti portano come principale conseguenza altri declassamenti: Standard & Poor’s ha affilato ancora di più la propria scure e, dopo il debito pubblico italiano, si è scagliata anche contro i principali istituti di credito del nostro paese. L’agenzia americana di rating ha infatti provveduto a tagliare la valutazione relativa a ben sette banche, una operazione che, casualmente o meno, è coincisa con un altro declassamento, vale a dire quello deciso da Moody’s nei confronti di Fiat. Non c’è dubbio che il gruppo maggiormente colpito sia Intesa Sanpaolo: in effetti, nonostante le rassicurazioni dell’amministratore delegato Corrado Passera, il rating di lungo termine è stato rivisto al ribasso, cos’ come quello di ben tre controllate, vale a dire Banca Imi, Cassa di Risparmio di Bologna e Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo (in tutti e tre i casi si è passati da A+ ad A).

Non se la passano meglio nemmeno altre banche di primario livello per il nostro paese, come Mediobanca e Findomestic, senza dimenticare la Banca Nazionale del Lavoro (il declassamento ai danni di Bnp Paribas di pochi giorni fa doveva lasciar presagire qualcosa in tal senso). La motivazione di un simile provvedimento è presto detta, con il nuovo livello di debito, anche le banche devono essere allineate, pur rimanendo immutati i giudizi relativi al breve termine.

Si può invece dire che è andata meglio, ma non troppo, ad altri gruppi, tra cui figurano Banca Fideuram, Agos-Ducato, Unicredit e Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, per le quali è stato ritoccato soltanto l’outlook, divenuto inevitabilmente negativo. Altre conseguenze sono per il momento imprevedibili; gli scenari che si prospettano, con pochi enti e società che possono vantare delle previsioni stabili di solidità per il futuro, non sono incoraggianti, ma c’è anche chi può esultare, come ad esempio Enel, il cui profilo di credito è stato innalzato da BBB+ ad A-.

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