Cina: delocalizzazione produttiva, crescita del Pil e aumento inflazione

La delocalizzazione rappresenta l’organizzazione della produzione dislocata in regioni o stati diversi. Le ragioni sono molteplici, per prima anzi tutto l’economicità, che deriva dalla ricerca di Paesi in cui ci sia un concreto vantaggio comparato rispetto ad altri, per esempio una produzione in cui sia necessario un notevole apporto di know-how e software a buon mercato, viene realizzata in India dove sono presenti alte professionalità ad un prezzo orario limitato. Al di là degli investimenti diretti ci sono migliaia di accordi di subfornitura che costano poco e danno vantaggi a chi li sigla consentendo a queste imprese di espandere la produzione all’estero, conquistare nuovi mercati, ristrutturare i costi di produzione. Una produzione in cui la parte focale sia costituita dalla manodopera rispetto al valore intrinseco delle merci in trasformazione, viene realizzata in un luogo in cui il costo del lavoro sia minimo, per esempio la Cina. Con una crescita dell’11,2% tra ottobre e dicembre dello scorso anno, in lieve rallentamento dall’11,5% del precedente trimestre, la Cina ha chiuso il 2007 con un’espansione annua dell’11,4%, massimo dal 1994. A dicembre l’inflazione cinese ha rallentato al 6,5% dal massimo di 11 anni toccato a novembre con un 6,9%.


La Cina dovrebbe scalzare la Germania dal terzo posto nella classifica delle maggiori economie mondiali quest’anno, anche se gli economisti prevedono che la crisi creditizia globale faccia rallentare il Pil a circa il 10%, che rimane comunque una crescita alquanto elevata! L’aumento eccessivo del Pil provoca inflazione, ecco perché le autorità monetarie cercheranno di contenere l’inflazione adoperando una polita monetaria restrittiva, ma se l’economia rallenterà più del previsto, perché anche a Pechino si soffre per la crisi creditizia, gli economisti non hanno dubbi che Pechino disattiverà alcune delle politiche restrittive che ha implementato nell’ultimo anno.

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