Sedute negative per lo yen: la valuta asiatica perde nei confronti di dollaro, euro e persino del dollaro australiano e neozelandese

 Lo yen è in calo nei confronti delle valute principali degli altri continenti, dopo che i governi di Stati Uniti, Europa e Australia si sono impegnati a sostenere le banche, incoraggiando in tal modo gli investitori ad accrescere i patrimoni di euro, sterline e dollari australiani. Il Tesoro statunitense dovrebbe acquistare a breve le partecipazioni bancarie, tra cui quella di Citigroup Inc. e JPMorgan Chase & Co.; le nazioni europee si sono invece impegnate a versare 1,8 trilioni di dollari per garantire i prestiti.

 

Neil Jones, a capo del comparto hedge fund della società Mizuho Capital Markets a Londra, ha così commentato:

I policy maker si sono fatti sotto con le giuste iniziative per affrontare la questione del credito, e ciò rappresenta un’operazione fondamentale per ristabilire la confidenza. Queste misure faranno aumentare la propensione al rischio: gli investitori acquisteranno azioni e venderanno lo yen per le valute più competitive.

La valuta giapponese ha perso 1,8 punti percentuali a New York, raggiungendo quota 141,07 per un euro. È uno dei maggiori declini da gennaio 2001: lo yen ha perso anche nei confronti del dollaro (-0,8%) chiudendo a quota 1,3742. La moneta asiatica dovrebbe tornare a crescere verso la fine del 2008, quando raggiungerà quota 130 yen per un euro, a causa della stagnazione globale dell’economia: tale crescita futura dovrebbe anche garantire l’aumento della domanda per asset più sicuri.

 

Il calo dello yen si è verificato anche nei confronti del dollaro australiano (-3,9%): ora sono necessari 74,04 yen per ottenere un dollaro australiano. Il continente dell’ Oceania si rivela, poi, ancora negativa per la valuta asiatica: lo yen ha infatti perso 3,4 punti percentuali persino nei confronti del dollaro della Nuova Zelanda. C’è però da precisare un fatto in quest’ultimo caso: infatti, il tasso di mercato del Giappone si assesta intorno allo 0,5%, mentre è molto più alto in Australia e Nuova Zelanda (rispettivamente del 6% e del 7,5%).

 

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