Nuovi mercati emergenti: Vietnam

Nell’ultima edizione del magazine di Credit Suisse, il Global Investor, viene affrontato il tema dei mercati di frontiera, mercati con una crescita inferiore rispetto ai cosiddetti paesi emergenti, ma che vantano potenziali capacità di commercio e sviluppo e che potrebbero rappresentare un ottimo investimento, per chi considera i BRIC ormai non più convenienti.

Gli ultimi 6 anni hanno visto un balzo in avanti incredibile dei BRIC, che trainati principalmente dalla Cina, hanno attirato un enorme mole di investimenti stranieri ed offrono opportunità interessanti anche come mercati interni, data la veloce crescita dei consumi. La loro crescita potenziale resta alta ma non è più “dinamica” come lo era un tempo, allora una soluzione potrebbe essere quella di scovare paesi in via di sviluppo, anticipando i tempi.

Per permettere agli investitori di individuare quali sono questi paesi Credit Suisse ha elaborato un indice che si basa sul benessere della popolazione, il potenziale macroeconomico, lo sviluppo dei mercati finanziari e la stabilità politica.

Investire in India conviene

Il Prodotto Interno Lordo dell’India è cresciuto nell’ultimo anno finanziario del 9,6%. La crescita, per il terzo anno consecutivo maggiore del 9%, è stata superiore al previsto, va di pari passo con l’aumento dei consumi e pone le basi per soffiare il primato alla Cina. L’India rappresenta per questo motivo ed altri una vera e propria calamita nell’attirare investimenti italiani.

Sono cinque i settori più promettenti per fare business in India: infrastrutture, formazione, immobiliare, tecnologia avanzata e impresa manifatturiera, soprattutto tessile ed agroalimentare. Sono oltre 200 le multinazionali della tecnologia che hanno aperto qui centri di sviluppo e ricerca, come IBM e General Electric, traendo vantaggio dalla manodopera a basso costo ma non solo, dal momento che in India è possibile usufruire anche di personale qualificato (9 milioni di laureati all’anno). I dati ci dicono che il 70% delle aziende che hanno investito in India sono profittevoli. Unico neo la labirintica burocrazia indiana, motivo per cui almeno inizialmente conviene affiancarsi ad un partner locale, per poi in seguito magari rilevarne la partecipazione.

E l’Italia come si colloca in questo scenario? Attualmente sono circa 150 le aziende italiane presenti in India, tra unità produttive, joint venture e branch offices principalmente nei settori auto, tessile e meccanico. In passato l’obiettivo di chi sceglieva l’India era l’abbattimento dei costi produttivi, soprattutto per quanto riguarda la manodopera, mentre oggi le aziende italiane guardano al mercato indiano per vendere i propri prodotti, magari prodotti sul posto.