I paesi emergenti del Sud America dimostrano un’inattesa resistenza alla crisi finanziaria: nessun crack e limitate perdite in borsa

 È quasi sorprendente la capacità di resistenza alla crisi finanziaria mondiale dimostrata dai paesi emergenti, in particolare da quelli dell’America Latina (Argentina, Brasile, Uruguay, Cile…). Il più grave collasso economico degli ultimi dieci anni è stato infatti vissuto da questi paesi con una sorta di placido attendismo: è una situazione strana quella che si sta delineando, perché le precedenti crisi avevano coinvolto in maniera più rapida e profonda proprio gli stati sudamericani.

Non si è verificato nessun crack e gli unici effetti da rilevare sono stati quelli sulle borse: San Paolo ha perso 7,59 punti percentuali, seguita da Buneos Aires (-5,2%) e, in maniera più lieve, Santiago del Cile (-0,53%). Cerchiamo di capire ora il perché di questa situazione e le prospettive future.

L’annuncio del piano USA per superare la crisi finanziaria porta euforia sulle piazze asiatiche, in particolare quella giapponese

 Le borse asiatiche subiscono un forte rialzo, sulla scia dell’andamento di Wall Street, dopo l’annuncio da parte del governo statunitense di voler approntare un piano organico volto a fronteggiare e superare la grave crisi finanziaria. Tra i guadagni più consistenti delle piazze asiatiche bisogna sottolineare quello della borsa di Shangai, che guadagna addirittura 8 punti percentuali anche grazie all’abolizione della tassa sull’acquisto delle azioni. In generale i mercati asiatici sono riusciti a recuperare in parte le perdite che via via si sono accumulate nel corso della settimana.

 

A Taiwan, l’indice Taiex guadagna il 3,8%, chiudendo a 5.970,38 punti; l’indice Kospi è invece in rialzo di 4,55 punti percentuali alla borsa di Seul, mentre l’Hang Seng di Hong Kong guadagna 6,5 punti percentuali. Altro guadagno consistente è stato conseguito dalla borsa di Tokyo, dove è stata avvertita con maggiore euforia la notizia del piano organico statunitense contro la crisi: l’indice Nikkei ha chiuso a 11.920,86 punti (in rialzo del 3,8%). Il piano americano è stato proposto dal segretario del Tesoro Henry Paulson e dal portavoce della Federal Reserve, Ben Bernanke: l’iniziativa prevede di spostare gli asset maggiormente in difficoltà dai bilanci delle società finanziare statunitensi verso una nuova istituzione.

 

Secondo Bill Gross rischiamo uno “tsunami finanziario”, intanto crollano i titoli delle banche

 Il deterioramento delle prospettive per l’economia europea, i deludenti dati sul mercato del lavoro americano e il calo delle scorte di petrolio negli Stati Uniti sono i principali fattori che hanno spinto al ribasso i mercati finanziari nell’ultima giornata di contrattazioni. Non vanno però ignorate nemmeno le pessimistiche previsioni di Bill Gross, gestore del più grande fondo obbligazionario del mondo. Gross ha infatti parlato di “tsunami finanziario” che si potrebbe verificare se il governo statunitense restasse fermo di fronte alla caduta dei prezzi di obbligazioni, immobili, azioni e materie prime.

“Il governo dovrebbe prendere il posto degli investitori privati i quali non hanno più denaro per comprare nuovi assets e sono stati danneggiati dalle perdite”

Opec: il caro greggio deriva dalla speculazione, ma Arabia Saudita annuncia aumento produzione

La speculazione è all’origine del caro petrolio, vicino ai 140 dollari al barile. Ne è convinta la maggior parte dei paesi produttori, che ieri si sono confrontati con gli stati consumatori alla conferenza di Gedda, in Arabia Saudita. Presenti i ministri per l’Energia di oltre 30 paesi. L’Arabia Saudita ed il Kuwait dichiarano che l’Opec dovrebbe aumentare la produzione se il mercato lo dovesse richiedere. L’Arabia Saudita ha infatti deciso di aumentare ulteriormente, entro luglio, la propria produzione di greggio, portandola a 9,7 milioni di barili il giorno: lo ha annunciato re Abdullah in apertura dei lavori del vertice di Gedda, dedicato appunto al rincaro dei prezzi petroliferi e alle sue conseguenze.

Dopo l’impatto della concorrenza il settore delle calzature riprende fiato

Dopo tanto sentir parlare di concorrenza nel settore delle calzature, di dumping, di prodotti dei mercati emergenti a bassissimo costo che spiazzano la concorrenza europea, Vito Artioli presidente dell’Anci, l’Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani, nel corso dell’assemblea generale dell’organizzazione imprenditoriale ha affermato:

Non siamo un settore decotto, perché abbiamo dimostrato, in un momento di cambiamenti strutturali del mercato internazionale, una capacità di ripresa che molti non si aspettavano.

Nel quinquennio compreso fra il 2001 e il 2005, infatti, il settore delle calzature ha risentito più di altri dell’impatto della crescente concorrenza mondiale. Lo confermano la chiusura di circa 700 imprese e la cancellazione di 15.000 posti di lavoro. La scarpa italiana è però ripartita alla grande chiudendo un ottimo 2007. L’anno scorso però, le esportazioni sono cresciute del 6,2% passando così dai 6,5 miliardi di euro del 2006 a 6,9 miliardi nel 2007. Questo soprattutto grazie ai prodotti in pelle e cuoio, quelli a maggior valore aggiunto che nel 2007 hanno generato da soli l’84% dell’export con un incremento del 7,3%.