Africa: è ora di investire nel continente nero?

Quando abbiamo parlato di mercati emergenti abbiamo detto che oltre ai BRIC, esistono tutta una serie di paesi, e mercati, in via di sviluppo, con buone potenzialità di crescita su cui è possibile investire giocando d’anticipo. E questi paesi non si trovano solo ad oriente, nel continente asiatico, o in quello sudamericano, bensì anche in Africa.

Il continente nero dopo secoli di sfruttamento e sottomissione sta forse cominciando ad alzare la testa? Il contesto geopolitico non è ancora ideale e la carenza di un quadro normativo in grado di proteggere gli investimenti ne fanno una realtà ancora tutta in divenire. Da non trascurare però la ricchezza di risorse naturali che caratterizza questo continente: il 30% dell’oro mondiale proviene da qui, così come almeno il 50% dei diamanti, per non parlare del platino.

E che dire del petrolio? L’oro nero africano appare spesso sottovalutato o sottostimato, come se il suo valore fosse inferiore a quello proveniente dal Medio Oriente. Ma non dimentichiamoci che la Nigeria è il sesto esportatore mondiale e riserve non quantificate perchè ancora da esplorare interamente sono presenti nel Golfo della Guinea, nell’area saheliana e nel Sudan.

Nuovi mercati emergenti: Vietnam

Nell’ultima edizione del magazine di Credit Suisse, il Global Investor, viene affrontato il tema dei mercati di frontiera, mercati con una crescita inferiore rispetto ai cosiddetti paesi emergenti, ma che vantano potenziali capacità di commercio e sviluppo e che potrebbero rappresentare un ottimo investimento, per chi considera i BRIC ormai non più convenienti.

Gli ultimi 6 anni hanno visto un balzo in avanti incredibile dei BRIC, che trainati principalmente dalla Cina, hanno attirato un enorme mole di investimenti stranieri ed offrono opportunità interessanti anche come mercati interni, data la veloce crescita dei consumi. La loro crescita potenziale resta alta ma non è più “dinamica” come lo era un tempo, allora una soluzione potrebbe essere quella di scovare paesi in via di sviluppo, anticipando i tempi.

Per permettere agli investitori di individuare quali sono questi paesi Credit Suisse ha elaborato un indice che si basa sul benessere della popolazione, il potenziale macroeconomico, lo sviluppo dei mercati finanziari e la stabilità politica.

Investire in Brasile: boom di investimenti nel 2007

Parlare di boom dei mercati emergenti è ormai cronaca di tutti i giorni. Già nel 2007 con la crisi globale dei mutui subprime alle porte le aziende e gli investitori cominciavano a gettare lo sguardo verso BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), ma mentre tutti conosciamo le potenzialità e la forza dei mercati russo, indiano e cinese, quello brasiliano è sempre stato considerato di secondo livello. Il Brasile è un paese ricchissimo di risorse naturali ed è sempre stato visto principalmente come un “fornitore di materie prime“.

Molte aziende sono state costrette a rivedere questa definizione e molte altre dovranno farlo. Nel 2007 il Brasile ha visto investimenti stranieri diretti per la cifra di 34,6 miliardi, secondo quanto riportato dal Finacial Times. Secondo i dati del UNCTAD (Congresso delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo) gli investimenti diretti hanno addirittura superato del doppio quelli rivolti verso l’India e hanno portato il Brasile al secondo posto della classifica mondiale.

La sua ricchezza di risorse naturali, la cui domanda mondiale cresce incessantemente, ha senza dubbio rivestito un ruolo fondamentale in questo boom ma andando ad analizzare il tipo di investimenti ricevuti stupirà il fatto che i settori che maggiormente ne hanno beneficiato sono quelli manifatturiero (un terzo degli investimenti totali) ed edilizio.

Mercati emergenti: la Turchia

Quando parliamo di guardare ad est per investire nei mercati emergenti generalmente focalizziamo l’attenzione su Cina e India, rischiando di dimenticare la Turchia. Nonostante le frequenti tensioni interne, la Borsa di Instanbul è infatti risultata essere alla fine del 2007 il quinto listino mondiale per rendimento. Dalla metà degli anni ’80 l‘ISE (Instanbul Stock Exchange) è l’unica società autorizzata per gli scambi azionari delle 320 compagnie quotate nel listino della borsa turca.

L’indice di riferimento è l’IMKB; negli anni ha avuto un andamento piuttosto oscillante, in correlazione con l’instabilità della politica interna. Il mercato è comunque in forte crescita ed ha materializzato rendimenti ad un anno tra il 50% ed il 60%.

Mai come oggi è ora di puntare sui mercati emergenti e nel comparto Etf gli strumenti relativi a paesi come Brasile, Turchia e India guidano la classifica dei migliori rendimenti. Il 2007 è stato l’anno d’oro degli Etf turchi, anche di quelli quotati nelle borse europee.

Vodafone cresce grazie a India e Turchia. Crescita più lenta in Italia

Tutti conoscono il colosso telefonico britannico Vodafone, la compagnia ha chiuso il terzo trimestre con vendite in aumento a 9,2 mld di sterline, con un rialzo del 4,4% su base comparabile, grazie soprattutto alle acquisizioni in India e Turchia avvenute nel 2005 quando Vodafone si aggiudicò la gara per l’acquisizione della Telsim, il secondo operatore di telefonini della Turchia e iniziò strategie anche in India con il 10% in Bharti Tele-Venture. I ricavi aumentano quindi grazie al boom delle vendite sui mercati emergenti di India e Turchia, dove l’incremento è rispettivamente del 50% e del 32%: un successo frutto della strategia dell’amministratore delegato Arun Sarin, che punta a compensare la crescita contenuta sui mercati maturi dell’Europa con un’espansione sui mercati emergenti. I risultati di questo trimestre, secondo quanto ha commentato l’amministratore delegato Pietro Guindani, dimostrano come i clienti utilizzino sempre di più i servizi mobili. Il forte incremento dei volumi di traffico e l’esplosione nell’utilizzo della banda larga mobile testimoniano il successo della strategia di mercato di Vodafone Italia con iniziative commerciali sempre più mirate a incentivare l’utilizzo dei servizi.

Crisi Usa: le aziende italiano guardano alla Russia ed ai paesi arabi

Aumenta sempre di più la paura della recessione economica statunitense, e basta la sola ipotesi a spaventare i mercati. La conseguente crisi del dollaro rende più difficili e meno convenienti le esportazioni oltreoceano. Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti hanno infatti subito una flessione del 7,5%. Le aziende italiane stanno quindi tentando di conquistare altri mercati e appaiono molto vantaggiosi in questo senso quello russo e quello dei paesi arabi. Come annunciato da Emma Bonino nel 2007 l’Italia è riuscita a superare Gran Bretagna e Canada nelle esportazioni, con una crescita del 6,1% rispetto all’anno precedente. Nonostante l’euro forte l’Italia è salita al settimo posto degli esportatori mondiali, guadagnando due posizioni. La principale variazione di tendenza in positivo è stata infatti registrata nelle esportazioni verso la vicina Russia, con un + 16,3%.

Le aziende del lusso in particolare trovano denaro ed interesse nei ricchi mercati russi ed arabi. L’industria dell’occhialeria ad esempio ha come principale mercato di riferimento gli Stati Uniti ma nel 2007 l’export complessivo ha guadagnato un misero 2,1% e la situazione attuale rischia di rendere le operazioni meno convenienti. Sono stati invece registrati ottimi risultati nelle esportazioni verso gli Emirati Arabi con un +49,7%.

Piaggio: la Vespa vola in Asia

Il gruppo Piaggio punta ai mercati asiatici, precisamente India, Cina, Vietnam e Giappone. Questo è quanto dichiarato dal presidente e amministratore delegato dell’azienda di Pontedera a Mumbai, in India. Questo business vedrà il fatturato netto del gruppo aumentare del 18,4% a 290 milioni di euro. La strategia prevede un accordo con la giapponese Daihatsu per la fornitura di «powertrain» (motori benzina 1300cc e relative trasmissioni), fornitura da parte di Daihatsu di parti, componenti e gruppi che verranno utilizzati sui nuovi veicoli delle gamme Porter e Quargo. La Piaggio sta costruendo un nuovo stabilimento nella zona di Hanoi, in Vietnam dove i ciclomotori saranno prodotti e commercializzati a partire dal 2009.
Ma la data magica è il 2010, quando la nuova fabbrica che si sta costruendo a Baramati comincerà a diventare operativa. La Piaggio prevede di produrre 200 mila motori all’anno, di cui 50 mila diesel e 150 motori a benzina per gli scooter, che si andranno ad aggiungere a quelli già fabbricati in India. L’investimento totale sarà di 65 milioni: un nuovo stabilimento sorgerà accanto a quello esistente, nei pressi di Pune, che attualmente produce l’Ape e il nuovo “Ape Truck“, il camioncino a quattro ruote lanciato nel luglio dello scorso anno.