Il mercato russo reagisce dai minimi: le cause della debolezza del Micex e gli ETF su cui puntare

 Venerdì è stata una giornata di forte salita per il mercato azionario russo, l’indice Micex ha guadagnato il 6% riuscendo per adesso ad allontanarsi dai minimi degli ultimi due anni. Nonostante i forti rialzi il bilancio della settimana di contrattazioni resta comunque negativo, con il mercato in discesa del 7,9%. Negli ultimi tre mesi la perdita è stata di circa il 35%. I fattori alla base della debolezza del mercato russo sono molteplici: il calo del prezzo del petrolio e delle materie prime; le tensioni geopolitiche (Georgia, Polonia);  le difficoltà del settore bancario. Sono stati colpiti tutti i settori più importanti della borsa russa.

La EBRD investe nell’economia mongola: le vendite al dettaglio e il comparto estrattivo godranno dei maggiori benefici

 La European Bank for Reconstruction and Development (EBRD: Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) sta pianificando di potenziare del 50% i suoi investimenti in Mongolia per quest’anno: tali investimenti verranno destinati in particolare alle industrie operanti nei più diversi settori, dal commercio al dettaglio al comparto estrattivo. La banca accrescerà la spesa nella nazione asiatica fino a 50 milioni di euro e prevede, inoltre, un ulteriore guadagno di 100 milioni di euro nel 2009, secondo quanto riferito da John Chomel-Doe, il direttore della banca per la Mongolia.

Gli investimenti esteri del paese asiatico hanno raggiunto i 500 milioni di dollari nel 2007, il 67% dei quali proviene dal settore estrattivo e il 22% da quello alimentare, secondo i dati della Banca Mondiale. Tra il 2005 e il 2007, il totale degli investimenti diretti esteri era pari a 1,2 miliardi di dollari. La EBRD aveva già effettuato alcuni investimenti in Mongolia in passato: investimenti che includono una catena di supermercati, una banca, una compagnia estrattiva, una miniera di carbone e un’azienda produttrice di succhi di frutta.

Zapatero mette la sordina al suo ministro dell’economia a proposito della crisi economica

 Sul fatto che la grave situazione economica spagnola sia giunta ad un passo dalla recessione sembrano ormai d’accordo quasi tutti; economisti, politici, industriali, istituti di ricerca, mass media. Tutti tranne forse uno, il premier Zapatero, che fino a due mesi fa, cercava disperatamente di negare addirittura che il paese fosse in crisi economica. Ma è difficile negare l’evidenza e quindi alla fine anche lo stesso Zapatero si è dovuto inchinare ad ammettere che anche il suo paese era in crisi, aggiungendo pero che sicuramente le sue importanti misure in materia economica avrebbero portato miglioramenti già alla fine dell’anno (mentre fino ad ora la situazione sembra volgere sempre più al peggio). Ecco perché quando ieri il ministro dell’economia spagnola Pedro Solbes ha ammesso, in una intervista, che la Spagna potrebbe essere molto vicino alla recessione, sulla base di dati incontrovertibili, il premier ha pensato bene che era l’ora di richiamare all’ordine anche il suo illustre vicepresidente e di assumere le sue responsabilità in proprio.

Dopo i recenti scossoni finanziari Intesa san paolo risulta essere la banca più sicura

 Dopo lo scossone provocato dal cicolone Lehman Brothers, i mertcati finanziari e i titoli legati al comparto assicurativo bancario sono tornati sotto fortissima pressione, dopo un recupero, iniziato a fine Luglio e proseguito in maniera piu o meno univoca fino a qualche giorno fa. La bufera che ha colpito il colosso bancario americano, che ha perso in tre sedute più dell’80%, ha fatto schizzare alle stelle il costo dei credit default swap (Cds), i derivati che coprono gli investitori dal rischio di fallimento degli emittenti. Sulla scadenza a 5 anni, il costo per assicurarsi contro l’insolvenza di Lehman Brothers è pari a 577 punti base. Ciò significa che un investitore in possesso di 10 milioni di dollari di bonds targati Lehman Brothers deve spenderne 577mila all’anno per evitare di perdere tutto il capitale.

Per il Giappone la recessione è quasi certa, dubbi sulla politica monetaria mentre il dollaro recupera sullo yen

 Ancora brutte notizie dal Giappone: nell’ultimo trimestre l’economia nazionale è arretrata del 3% a causa soprattutto dei consumi e del calo delle esportazioni. Nel secondo trimestre dell’anno si è quindi avuta un’accelerazione verso il basso, cosa che ha stupito in quanto le attese erano per un calo annualizzato del 2,4%. Nel primo semestre invece il calo è stato dello 0,7%,  questo è il dato peggiore dal 2001, anno di recessione per l’economia giapponese. Scendendo nei dettagli possiamo dire che a soffrire sono stati in particolare i consumi, scesi dello 0,5% sia quelli delle imprese che quelli dei consumatori. I consumatori hanno poi assistito a causa dell’inflazione ad una perdita di potere di acquisto dei loro stipendi.

Sta per nascere il secondo colosso alimentare giapponese: imminente la fusione tra Meiji Dairies e Meiji Seika

 La Meiji Dairies Corp., la maggior azienda casearia del Giappone, e la Meiji Seika Kaisha Ltd., azienda collegata specializzata nella produzione di dolci da pasticceria, hanno annunciato la loro prossima fusione: tale unione creerà in tal modo la seconda più grande azienda alimentare del paese asiatico, dato che aumenteranno i costi degli ingredienti. I due produttori alimentari hanno affermato in una dichiarazione al Tokyo Stock Exchange che la fusione avrà luogo il prossimo 1° aprile.

Entrambe le società potranno detenere circa lo stesso numero di azioni nella nuova società unificata: azioni che avranno un valore di 3,7 miliardi di dollari. La “riunificazione” dei produttori alimentari, processo iniziato più di 90 anni fa come parte della Tokyo Confectionery Co., favorirà sicuramente il potere di acquisto per ingredienti come il cacao e il frumento, i quali hanno già raggiunto livelli record quest’anno.

L’Opec taglia la produzione. Il petrolio continua a scendere ma i carburanti no. Come mai?

Tagliare o non tagliare la produzione di petrolio? E’ questo l’interrogativo su cui hanno dibattuto a lungo i paesi produttori nel corso del 149° vertice dell’Opec, tenutosi il 9 settembre a Vienna. Alla fine, in barba alla volontà dell’Arabia Saudita di mantenere invariata la produzione, l’Opec ha optato per un taglio produttivo di 520 mila barili al giorno. Nonostante la decisione dell‘Opec, il petrolio non ha frenato la sua discesa e ieri a Londra il Brent è arrivato a 98 dollari mentre a New York il Wti è sceso a 102 dollari. Con il prezzo del petrolio che si aggira intorno ai 100 dollari al barile, 47 in meno rispetto al record di luglio, anche i prezzi dei carburanti dovrebbero adeguarsi e scendere proporzionalmente. Secondo Federconsumatori, che denuncia le continue speculazioni sui carburanti, i prezzi di benzina e gasolio dovrebbero attestarsi almeno ad 1,40 euro a litro, mentre attualmente essi sfiorano 1,48 euro a litro. A marzo, dati alla mano, il petrolio toccava 104 dollari al barile e il costo della benzina oscillava attorno a 1,36-1,38 euro a litro. Ma allora perchè oggi, nel nostro Paese, i prezzi dei carburanti non scendono insieme a quello del petrolio?